21 giugno 2008

Poteva essere cielo. Con molti dubbi, però.

Abitava nel quartiere Jeanne d'Arc, un isolotto nella zona sud di Parigi così insalubre da non crederci.
Un labirinto di budelli mal pavimentati o sterrati, dove serpeggiava una strada centrale che puzzava da vomitare. Sugli illusori marciapiedi s'allineavano perennemente vecchi fusti metallici per carburi, pattumiere mai svuotate straboccanti d'immondizia e assediate da cani, gatti e topi, fraternamente uniti nella ricerca di cibo. Le case, molte delle quali puntellate da grosse travi catramate, erano in tale stato di decomposizione da rasentare il crimine.
L'odore che mi circondava era un misto di verdura marcia, latrine otturate e cimici schiacciate. Alzando gli occhi, da una bassa volta non più in grado di unire due edifici, si vedevano: finestre prive di imposte, con i vetri rotti rimpiazzati da pezzi di cartone o brandelli di manifesti strappati nelle vicinanze; tubi di stufa che uscivano da aperture nere di fuliggine; biancheria stesa sulle sbarre di protezione che cercava di asciugarsi lontano da ogni raggio di sole, indumenti lavati alla meno peggio che s'impregnavano di ogni sorta di polvere; e infine, più in alto, qualcosa che assomigliava a un enorme coperchio grigio e che poteva essere il clielo.
Con molti dubbi, però.

Léo Malet, Il sole non è per noi - Trilogie Noir (1943)